Un patchwork di fiction, allegorie e musiche alte, riprodotte su una tela storica fertile e inimitabile per la produzione artistica di settore.
Un puzzle di quaranta tessere, incastrate con l’estro narrativo di trame fantasiose, quasi improvvisate, come la stessa musica afro americana che sostiene l’opera. Animata da personaggi e autori reali, protagonisti di un’epopea dai connotati memorabili e irripetibili.
L’ultimo saggio di Aldo Gianolio, emiliano classe 1952, fine conoscitore del Jazz e di tutto ciò che concerne questo pianeta musicale, risulta un compendio straordinario nell’emisfero umano e artistico, poco esplorato. Quasi un romanzo storico cucito dalla cifra irriverente e poco prevedibile, tipica dei musicisti incontrati.
“Il trombonista innamorato e altre storie di Jazz” edito da Robin Edizioni, in libreria dallo scorso novembre 2019, sviluppa e completa una parte che era stata già trattata in un precedente libro dello stesso Gianolio, pubblicato nel 2002 per i caratteri di Mobydick Editore, ” A Duke Ellington non piaceva Hitchcock e altre storie di jazz”. “
Nel suo “Trombonista innamorato” che si arricchisce, sin dall’immagine riprodotta in copertina, di molti disegni (nella fattispecie un olio su tela del 1992) che realizzano esilaranti scene e visioni didascaliche, realizzate dalla mano dello stesso autore, le prime due pagine offrono altrettanti tributi, evidentemente dovuti e decisivi per la vita privata e la passione professionale dell’autore.
Nella prima non può mancare la dedica di questa sua ultima opera ai suoi genitori. Il papà Alfredo, detto Peo, avvocato, scrittore, critico d’arte, profilo carismatico della provincia reggiana, scomparso il 12 febbraio 2018, all’età di 91 anni. La mamma, Marisa Tordi Ferretti, scomparsa nel 2003.
La seconda pagina recita una citazione dl Louis Armstrong che racchiude mirabilmente l’essenza di questo universo esplorato da tanti musicisti, quanto da innumerevoli appassionati, recensori e addetti ai lavori.
Proprio a quest’ultimi l’aureo incipit illumina mente e approccio all’altra filiera collegata alle suite, alle ballad e standard musicali del genere.
Una stella polare per narrare il jazz e i suoi protagonisti:
“E poi il jazz, se uno non lo capisce da solo, è inutile che glielo spieghi io.”
Louis Armstrong.
Il libro inizia e si articola nelle memorie della voce narrante, John Ferro.
Critico musicale, avulso da interventi orali in eventi pubblici, non era un “musicologo” in senso stretto, incapace di leggere uno spartito.
Paradossalmente i suoi contributi pubblicati sulla rivista “Down Beat”, inauguravano puntualmente nuovi scenari nelle percezioni di ascolto e nelle angolature di osservazione circa le evoluzioni sonore. La sua scrittura era piena e credibile per la folta schiera di lettori e musicologi della scuola emergente di Chicago.
L’introduzione che avvia le storie dei miti giustifica il ruolo preminente del critico, presente al Congresso Internazionale di Jazz di St. Peter, l’assise più importante, mai organizzata sino a quell’epoca negli Stati Uniti.
Con questo artificio narrativo si snodano le quattro decine di vicende che delineano gli altrettanti profili dei migliori autori musicisti (in prevalenza “strumentisti del fiato”, sassofonisti, trombettisti, trombonisti e così via) che animarono fra l’altro anche una “contrapposta diatriba razziale” (i jazzisti di colore erano ritenuti inevitabilmente superiori a quelli bianchi) nell’epopea d’oro d’oltreoceano, consumatasi nella prima metà del Novecento.
Ogni paragrafo, distinto da un titolo illuminante, presenta poche righe in corsivo, dalla stessa intestazione. La dicitura “dove il critico John Ferro parla di” segue i canonici tre punti sospensivi e anticipa il nome del personaggio seguito dalle date anagrafiche e dai luoghi di origine del passaggio terreno.
Seguono aneddoti, retroscena, sfumature introspettive che insieme ai disegni di Gianolio confezionano un tomo avvincente da leggere tutto di un fiato.

Immagine tratta dalla pagina Facebook dell’autore.
Per tutte le sorprese e le meraviglie incluse, vale ancora di più l’adagio del sommo trombettista.
Buona lettura.