“Però, a me le cose giuste da dire non mi vengono mai in capa subito. Arrivano tardi. Invece ‘e strunzate, quellle stann semp’ in orario”.
Il passaggio stralciato nel consapevole rammarico del protagonista, è la cifra di una struggente confessione.
Un ammaliante commistione di fonemi dialettali con lo sforzo di un approssimativo uso della lingua italiana. L’originale voce narrante è quella di Zeno Iaccarino, giovane detenuto, appena quindicenne, presso il carcere minorile di Nisida.
Zeno è “figlio d’arte”. Il padre Luigi è recluso in carcere a Bergamo. Luigi ha creato esclusivamente dolori alla sua famiglia. Costringendo moglie e figlia al più antico mestiere per sopravvivere. Attraendo il figlio maschio alla stessa carriera criminale: furti e spaccio di stupefacenti sin dalla precoce età di dieci anni. Nonostante questo crine monstre, Zeno esprimerà coscienza e sentimento. Anche di amore e rispetto: oltre la madre, nel centro del suo cuore, nei pensieri della mente, ci sarà ogni giorno Natalina, il suo sogno di vita e riscatto.
L’affascinante invenzione narrativa di attribuirgli una vocazione d’aspirante scrittore , testimone oculare di un mondo blindato e reietto che dà fiato alle “voci afone di dentro” ;
realizza L’amore assaje. Immaginifico romanzo d’esordio della giovane avvocata penalista partenopea, Francesca Maria Benvenuto. Un caso editoriale, già venduto in vari paesi d’Europa. In libreria da poche settimane per i caratteri di Mondadori.
La trama nasce e si sviluppa sino al suo epilogo in un racconto, un monologo scritto dal baby pregiudicato. Già condannato ad una lunga pena da scontare per una serie di reati.
Il più grave di quali, l’omicidio per mano armata, di un suo coetaneo, appartenente ad un clan criminale antagonista, nel quartiere natio di Forcella.
Nel carcere minorile di Nisida – dove Zeno sarà recluso sino alla maggiore età, prima di trasferirsi in un altro carcere – l’opportunità di studiare, favorisce l’unica relazione istituzionale efficace.
Condivisa in una reciproca gratificazione.
L’incontro con Martina, accorta e presente insegnante d’italiano, convince il giovanissimo studente a mettere su carta la sua storia con l’indicibile esperienza di vita. Il premio promesso per questo impegno, sarà la concessione di una speciale licenza di due giorni. Per trascorrere il Natale con la vigilia, in compagnia della madre. Nella dimora dell’infanzia (rubata), un basso in un vico di Forcella.
Siamo nel 1991, quando Zeno avvia questo percorso di rigenerazione interiore a sua insaputa.
“Mamma faceva la zoccola. Scusate tutti, ma professorè voi lo sapete che è la verità e devo per forza fare il volgare perché era il mestiere suo e non ci ho altre parole per dirlo.”
Nel suo diario quotidiano emerge una corrispondenza con l’unica persona “di fuori” riconosciuta meritevole di stima e fiducia.
La prof Martina come i suoi colleghi che lavorano a Nisida e tutti gli addetti ai lavori coinvolti nella vicenda, non hanno voce propria. Neppure compaiono in alcuna scena.
“Vivono” ben delineati i rispettivi ruoli, nella versione di Zeno.
Riconosciuti al pari dell’insegnante diversi dagli “altri”. Che sono collocati nelle memorie dell’aspirante scrittore, secondo una personale verosimile percezione del “sentirsi considerato una persona”.
Degno di essere rispettato, anche temuto, non solo dai suoi sodali di dentro: i cattivi che hanno sbagliato in modo più o meno irreparabile.
Quanto e soprattutto dalla “schiera di fuori”. I buoni o presunti tali nella retorica della società civile. Con ruoli e funzioni esclusive: dai secondini ai giudici, dai preti cappellani sino al direttore del carcere o allo stesso Papa Wojtyla.
In visita a Napoli all’epoca dei fatti narrati.
Figure tutte chiamate al recupero di quel residuo di umanità deviata. Renitente ad alcuna possibilità di affrancamento dallo stigma ancestrale, criminale.
L’affaire Nisida con le dinamiche sulla micro criminalità e del buio oltre le sbarre nelle carceri minorili non è – banalmente – un fortunato refrain a favore di telecamere per produrre in serie fiction tv di successo.
La sensibilità di autrici e autori, non solo partenopei, è maturata, anche con esperienze formative professionali importanti. Impossibile dimenticare lo splendido Almarina di Valeria Parrella ( Almarina, la vita oltre le sbarre. – L’ altra ribalta (laltraribalta.it) ) –
Il lavoro di Benvenuto inquadra una introspettiva viscerale inedita.
Le sue note conclusive suggellano un approccio consapevole per una redenzione laica senza precedenti.