La maledizione di Piazza Fontana. Il processo impossibile.

La pandemia dell’oblio dopo un cinquantennio di omissioni.

“E’ il 2011 e molte cose sono cambiate. Regolamenti assurdi che sanzionano come difetti la professionalità e la passione impongono la ‘temporaneità’, termini massimi per lo svolgimento della funzione che ogni giudice si è scelto; per me il tempo in cui rimanere all’Ufficio gip di Milano è scaduto.”

La citazione del giudice Guido Salvini è stralciata dalla pagina 306 del suo saggio (termine evidentemente riduttivo) pubblicato nel dicembre 2019, in occasione del cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana, consumatasi a Milano il 12 dicembre del 1969.

La maledizione di Piazza Fontana (Edizioni Chiarelettere), scritto a quattro mani con il giornalista Andrea Sceresini è un’opera omnia che include, in più riprese, sistemi di processi storici confluenti in vasi comunicanti dai contenuti inediti e inquietanti.

Se la suddetta citazione orienta il lettore su una manifesta debolezza in un asse istituzionale portante del regime democratico repubblicano italiano, la nota 13, esplicativa dello stesso pensiero, pone già in essere la sua intollerante caducità: “Sarebbe venuto anche per me il momento in cui molti si dedicano alla –carriera-, puntando agli incarichi direttivi. Ci si autosponsorizza presso il Csm, si frequentano riunioni e convegni spesso inutili, si tessono relazioni, si mostra piaggeria verso i magistrati più potenti, si prendono posizioni secondo l’onda di quel momento… Fare il dirigente significa spesso costituire una cerchia nel proprio ufficio e portare in alto i propri colleghi preferiti, destinati a succedere al capo, e per loro scrivere i pareri professionali tutti ugualmente verbosi e pieni di lodi per favorirne l’ascesa…”

E’ doveroso da parte dello scrivente, ricordare l’impegno promesso per questa lettura (altro termine evidentemente riduttivo), vivamente consigliatami da chi aveva apprezzato(in questo spazio virtuale, mi sarà perdonata l’autocitazione – spero -)  alcuni mie precedenti approfondimenti nella storia recente del nostro Paese. Riportati alla luce con il medesimo rigore da altrettanti giuristi di quella tormentata stagione nazionale.

(https://www.laltraribalta.it/2019/11/12/litalia-occulta-la-storia-della-repubblica-nelle-memorie-di-giuliano-turone/ )

In occasione del cinquantenario dell’anno orribile dell’eversione stragista italiana (l’inimmaginabile carneficina alla banca nazionale dell’agricoltura è solo l’apice di una lunga serie di attentati ideati dalle cellule fasciste solidali alla nota organizzazione terrorista di Ordine Nuovo), la bibliografia relativa a questa strage ha collezionato nuove iniziative editoriali e saggi di diversi osservatori e analisti.

La ricostruzione non solo processuale, realizzata dal giudice Salvini è un unicum senza paragoni e possiamo affermare, con certezza oggettiva, irripetibile. 

Ho accompagnato la lettura de La maledizione di Piazza Fontana, con un altro lavoro afferente quel processo, realizzato da Benedetta Tobagi.

Il suo saggio, Piazza Fontana. Il processo impossibile (Einaudi 2019), è una rigorosa visitazione del processo, in tutte le sue numerose e travagliate edizioni. Una narrazione dettagliata e politica, dove emergono, evidentemente, i clamorosi depistaggi della prima ora con la tentata costruzione della matrice anarchica (con la drammatica colposa morte di Giuseppe Pinelli) e le innumerevoli situazioni opache insistenti fra l’apparato politico e le strutture investigative permeate d’inevitabili logiche ereditate dal ventennio fascista. Temporalmente troppo vicino per essere sdoganato.

Con le monolitiche posizioni dei protagonisti: esponenti apicali delle forze dell’ordine, dei servizi d’informazione (uffici di sicurezza riservati presso le sedi territoriali del Ministero dell’Interno) e della stessa magistratura, non proprio pronti o formati ai canoni di una giovanissima repubblica democratica.

Il saggio della Tobagi, ideato in una prospettiva circoscritta, ha forse vissuto opportunità di confronto con la comunità dei lettori in ambientazioni diverse con riscontri più fruibili rispetto all’argomento trattato. Di seguito riportiamo un’immagine relativa alla tappa di Codrongianus (Sassari), presentata dal giornalista Piero Mannironi (31 luglio 2020) con il Festival di giornalismo letterario “Liquida”, nel tour sardo estivo della scrittrice realizzato in più località dell’isola.

P.Missironi B.Tobagi
Codrongianus (SS) – Luglio 2020

Diversamente dai tanti libri pubblicati per l’occasione, per l’inchiesta di Guido Salvini è davvero difficile poter esternare commenti o gli stati d’animo emergenti nel lettore che si confronta con le trame di questo libro.

Una lettura che procurerà malori e dolori nella gran parte di chi potrà affrontarla. Certamente non sarà stato questo il fine che abbia ispirato l’autore, consapevole della gravità dei contenuti non solo pubblicati, quanto sostenuti da riscontri oggettivi.

Ho definito “opera omnia”, questo libro che in realtà ne contiene diversi al suo interno. Accomunati da una serie di comportamenti, scelte e iniziative narrate, non solo investigative o politiche che s’infrangono in un sostantivo. Protagonista indiscusso in gran parte nei cinquant’anni trascorsi, continua inesorabile anche dopo la pubblicazione di queste inequivocabili rivelazioni: il silenzio.

Dato per assunto la necessità di un approfondimento per questo memoriale (opportuno visitare https://guidosalvini.it/), l’approccio è un atto dovuto per una formazione civica e una maggiore adesione alla storia moderna della nostra Repubblica.

Possiamo riconoscere almeno tre filoni primari nella complessa ricerca di una verità oggettiva ed extra processuale degli accadimenti perpetuatisi. Troppi, quelli degenerati in gravi reati e delitti, rimasti impuniti e dolosamente celati al diritto della conoscenza storica. Pesa oltre modo il vergognoso mancato riconoscimento d’irrinunciabile giustizia nei confronti delle vittime delle stragi, dei loro parenti, conoscenti più prossimi. Per tutti i cittadini italiani.

Un’ampia parte del libro è dedicata da un lato all’evolversi storica dei vari processi sulla strage più grave e nota di quel complesso e lungo periodo di eversione. Unitamente ad una ricostruzione fattuale sulle istruttorie portate avanti dall’autore del libro. Con dettagliate delucidazioni su tanti aspetti e fatti che ne portarono a non identificare e sanzionare adeguatamente i mandanti di quella strage. L’inchiesta diventata “personale” per una serie di motivi, sviscerati opportunamente nell’ultima parte del saggio, rischiara determinati profili. Questi, nonostante le sentenze processuali, difficilmente potranno ritenersi esclusi dalle responsabilità decisionali di quei delitti.

Nella descrizione di vari personaggi, inspiegabilmente trascurati dagli organi inquirenti succedutisi negli anni (compare, paradossalmente, anche un giovane magistrato oltre l’oscuro “paracadustista”), descritti e incontrati da Salvini, risulta un quadro oggettivamente ineludibile sulla struttura estremista ordita dai cosiddetti ordinovisti. Militanti nelle varie cellule dialoganti, distribuite principalmente fra la Lombardia e il Veneto.

Immagine tratta dal portale web di G.Salvini.
G.Salvini – P.Morando. Foto di Giovanni Tagliavini
Milano Mostra Fotografica anni ’60

Probabilmente la parte che lascia le maggiori inquietudini nel lettore suscita un drammatico deficit di credibilità nell’impianto democratico del Paese. Ancor più nelle normali aspettative di un equilibrio etico fra i poteri politici istituzionali che regolano la convivenza nella nostra società. Questo cortocircuito si consuma nel processo subito da Guido Salvini, organizzato dai suoi detrattori per “incompatibilità ambientale” con la sua procura di Milano. Ovvero un lunghissimo periodo consumatosi in più anni con una miserabile persecuzione. Attuata con sciagurate e colpose modalità da più colleghi dell’apparato forense.  Inclusi in una ristretta élite di nomi (quei  magistrati più potenti della già citata nota 13) dall’elevata autorevolezza, consolidata in un immaginario popolare, sostenuta in un sistema mediatico spesso compiacente.  Il tema di alcuni organi d’informazione deviata con qualche giornalista prestatosi alla costruzione di dossier infamanti è l’altro filone dirimente che soggiace a un vero sistema eversivo. Virale e velenoso, insinuatosi stabilmente nelle istituzioni primarie del Paese.

Proprio il silenzio plumbeo opposto dalla maggior parte dei soggetti citati in questo testo solleva il rigore professionale dell’autore nella sua carriera togata, frenata e ostacolata per un diverso e meritorio percorso. Uscita, comunque indenne, da tentativi anche maldestri di disonorevoli sabotaggi. Senza tralasciare l’estenuante lavoro di ricerca investigativa, impunemente omessa da chi era chiamato a farla. Non solo per difendere l’onorabilità della propria reputazione e indipendenza. Quanto per tentare di rendere attuale un dovuto ripristino della verità. Mai sufficiente per colmare il debito di giustizia dovuta a tutti i parenti delle vittime colpite da queste ferite insanabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email