Se la calma è la virtù dei forti. Carmarìa, il viaggio nella vita che rinasce.

 “La felicità prima o poi arriva. E’ un lungo peregrinare, è un insieme di maschere che cadono, è un affrancamento totale dalle cose del mondo, è un ritrovarsi dopo lo smarrimento, è comprendere l’intima unità delle cose, è un’idea vaga che diventa fermezza”. 

La citazione è stralciata da un epilogo che offre un senso compiuto non solo al libro che lo racchiude.

La stessa idea di libro evolve in qualcosa di diversamente raro.

Un luogo dove la diversità e la possibilità di visitare scampoli di umanità con carne e sentimenti, trovano agio e accoglienza insieme al lettore.

Coinvolto, sodale attivo, in un viaggio che non termina con una meta scontata. 

La voce narrante è una vita reale di un giovane professionista dotato di alte competenze. Capaci di riconoscergli deleghe e responsabilità per rappresentare a livello internazionale un sistema strategico di servizi ad alta portata innovativa.

Una vita reale sospesa fra la frenesia performante sulla road map dello show business e l’attesa di una nuova vita all’orizzonte.

Frutto di un rapporto antico e inviolabile. Misterioso e ignoto sino alla sua epifania.

Come l’origine del mondo.   

Che tramandano le origini della nostra vita. Sentimenti e atmosfere ancestrali.

Soprattutto la capacità di ritrovare spazi vuoti e silenziosi per riscoprirli.  

Tutto questo e non solo emerge con poetico realismo nell’ultimo libro di Antonio Errigo.

Carmarìa, edito per i caratteri di Cangemi Editore, è un romanzo di uno scrittore che ama scrivere per i lettori che lo apprezzeranno.

Un dato di fatto apparentemente banale. Illuminato dalla prefazione di Franco Ferrarotti, già esaustiva nel preparare l’animo del lettore. Ulteriormente predisposto dalle dediche con le quali l’autore impegna la prima pagina. Con le citazioni di due autorevoli autori italiani – Tiziano Terzani e Italo Calvino – che ne impreziosiscono l’apertura.  

La vicenda muove i suoi passi con un prologo in una epoca lontana del secolo scorso.

Il piroscafo Leonardo Da Vinci dopo una sofferta navigazione di lunghi giorni, attracca finalmente a Massawa in Eritrea.

Fra i tanti passeggeri sistemati a bordo, soprattutto in base alle diverse disponibilità economiche, c’è la piccola Emma. Trapiantata dai suoi zii in una nuova, ignota terra.

Venti anni dopo, in uno sperduto villaggio di pescatori, una piccola povera comunità trascorre con i ritmi scanditi dal tempo immutato l’alternanza dei giorni. Non uguali per tutti gli abitanti, né per il loro sostentamento quotidiano. Regolato dalle condizioni meteo marine. Secondo la generosità del pescato consegnato dai flutti del mare. Dalla capienza delle reti a strascico. Governate dalle braccia possenti, dalla fatica degli uomini.

In mare per lunghissime ore.

Arriva una notte diversa: indimenticabile. I fratelli Salvo e Libero incontrano una pesca miracolosa che ricorda pagine del Vangelo. Ma il mare che volge in tempesta riporterà a riva anche, scampati da morte atroce toccata a tanti altri sventurati naufraghi, una terna di miracolati.

Una coppia di giovani congiunti con la pelle scura, lei incinta. La terza è bianca, si chiama Emma. 

Le trame che tessono brandelli di umana fragilità con atti di stoica dignità, prendono corpo e anima nei volti di Sabah e Tourè; Ameriga e Cummaredda; Martino e Restomondo.

Profili di pirandelliana vicinanza che non trascurano l’urgenza di riscatto, la ricerca di redenzione sociale. Rispetto ai soprusi, alla tirannide di ogni stagione. Perpetuata dai signori privi di scrupoli (Don Aurelio Bruttaspina e Bretto il Rigattiere), abituati al possesso indiscriminato di cose e persone.  

La metafora del mare domina la prosa insieme al viaggio. L’itinerario della nostra vita.

Un percorso dove il senso di solitudine, imperante nell’esasperazione di un individualismo omologante, possa superarsi in un progetto d’insieme.

Che non si risolva in un rapporto sentimentale a tempo determinato.

Dove l’amore coincida con una scadenza temporale di attrazione. Durevole come il nolo a lunga percorrenza di un’auto aziendale.

Su questa sintonia vige la tensione emotiva del neofita papà. Che accorcia la spasmodica attesa della prima genitorialità scrivendo lettere al futuro nascituro. Sfruttando alcune pause nelle sue trasferte lavorative alla scoperta del mondo.  

Antonio Errigo. Immagine tratta dalla sua pagina Facebook

Un approccio comune per vincere tutte quelle inevitabili paure che si affronteranno durante la traversata terrena. In mare aperto. Foriero di vita con la sua fauna, la bellezza dei suoi fondali.

Portatore di morte con la tempesta che incombe improvvisa. Con le stragi silenziose dei migranti del Mediterraneo. Perpetuate coi barconi di miseri straccioni provenienti dal sud del mondo.

Come quelle delle navi civili, traghetti o nave crociere, divenute loculi per ospitare vittime mortali di poco credibili errori umani. 

Senza dimenticare quelle militari in assetto da guerra. Come alcune impegnate in questi giorni per urgenti simulazioni belliche NATO, a blindare alcuni fra gli arenili più belli di Sardegna e del Mediterraneo nel silenzio più assordante.

Rivivere la nostra vita a ritroso per rinascere in una vita nuova.

Carmarìa ci insegna, semplicemente ci ricorda la trascendenza naturale dell’Umanità.

Quella che distrattamente riconosciamo nella nostra famiglia. Senza rivendicarne alcun modello esclusivo o ideologico. Se non un luogo di crescita libera e generosa condivisione.

Nelle giornate inaugurali del XXXIV Salone del libro a Torino incrociare nella vita reale, uno scrittore che vive nel suo libro con i suoi lettori è certamente una buona notizia.

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