Il riscatto agrodolce per gli scugnizzi del primo Novecento. “I bambini del maestrale”, l’imponente affresco storico di Antonella Ossorio.

“Difficile da spiegare, ma …è successo che a un dato momento guardandomi intorno ho avuto la precisa sensazione di essere precipitata in un brutto sogno. Quante camicie a lutto, quei gagliardetti sventolati con arroganza, quell’esaltazione insolita negli occhi della gente comune…la nostra gente! Non so come dire, d’un tratto Napoli mi è parsa un posto forestiero  e ostile.”

Un passaggio saliente, tratto da un accorato dialogo tra alcune protagoniste in una fase avanzata della vicenda, delinea, con una coinvolgente tensione emotiva, i tratti storici risalenti alla Napoli del 24 ottobre 1922.

Un richiamo fra i più forti e densi di visioni contemporanee che affiorano con una scrittura magnetica nell’ultimo lavoro letterario di Antonella Ossorio.

I bambini del maestrale”, in libreria per i caratteri di NERI POZZA (collana: I Narratori delle Tavole), ripercorre con un amorevole approccio alle complesse dinamiche umane, l’opera umanitaria in favore dell’infanzia abbandonata, avviata a Napoli nel 1913 da Giulia Civita Franceschi.

Figlia del noto scultore ebanista toscano Emilio Franceschi, che, trasferitosi  a Napoli nel 1867, s’impose rapidamente nel comparto artistico con la sua pregiata scuola d’intaglio. La totale abnegazione di Giulia nel volontariato si manifestò nell’innovativo progetto di recupero dei minori abbandonati e diseredati. Raccolti ciascuno dal degrado della strada. Ospitati e formati sulla nave asilo “Francesco Caracciolo”. Una pirocorvetta attraccata nel porto di Napoli, donata alla città dal ministero della marina mercantile.

Questa straordinaria iniziativa di riscatto sociale affrancò circa settecentocinquanta “caracciolini” dalle più estreme situazioni di disagio e povertà.

Consegnandoli, in un percorso didattico formativo di avviamento, ai mestieri del mare e non solo; alla costruzione di una compiuta redenta personalità.

Una sorta di “alternanza scuola lavoro ante litteram”.

L’articolato progetto diretto dalla Franceschi, replicato, con il patrocinio delle istituzioni nazionali e locali, in altri porti (Genova e Venezia), con l’ausilio di altrettante imbarcazioni del Regno d’Italia; si attuò in tre lustri. Sino al 1928 quando fu soppresso dal regime fascista.

Sin qui il canovaccio storico sul quale Ossorio si muove a suo agio, supportata dalle sue fonti bibliografiche. Puntualmente ricordate nei crediti in appendice all’epilogo del romanzo. 

Il portale narrativo accoglie l’innesto dei suoi protagonisti immaginati con artigiana misura.

Antonella Ossorio Fonte: pagina facebook dell’autrice.

Contaminati nelle vicende del “ventennio” insieme ai noti, decisivi soggetti in essere.

Dal francese Murat sino all’ingombrante Duce e al reiterato premier Giolitti  nel terreno politico. Via via, sempre più drammaticamente cosparso di sangue.

Altri autorevoli esponenti del mondo dell’arte e della cultura come Maria Montessori (la stessa protagonista fu appellata come  “la Montessori del mare”), oltre rappresentanti governi nazionali e stranieri, visitarono la Caracciolo e ne omaggiarono la direttrice con importanti riconoscimenti.

I protagonisti di Antonella Ossorio vivono nella sua scrittura verace e popolare.

 Arricchita da espressioni dialettali che ne chiariscono il tono reale, talvolta cruento.

I suoi “caracciolini” sono allineati in una comune e solidale esperienza di autodisciplina.

Dove i demoni delle singole esperienze di abbandono sono allontanati con azioni d’insieme non convenzionali, nella ripartizione dei compiti quotidiani.

Un luogo dove le fragilità e le sofferenze possano essere affrontate sempre con una seconda opportunità.

Nel rassicurante solco  Eduardiano cheAdda passà ‘a nuttata”.

In aderenza alla realtà il buon fine non è una garanzia per tutti. Così la mancata adesione di Felice nel suo peregrinare alla ricerca della figura materna, sembra evocare il più vicino Pino Daniele quando canta:  “Napule è a voce de’ creature che saglie chianu chianu… E ognuno aspetta a ‘ciorta”

Il maestrale sulla Caracciolo insiste con spire potenti e contemporanee.

La famiglia che supera la struttura originaria (mamma e figlio lontani fisicamente dal consorte padre, gravemente ammalato) per completarsi e fondersi, senza alterarne i valori portanti, in una più ampia.

Una casa famiglia galleggiante, la famiglia scolastica.

In questo scenario l’autrice non perde l’occasione di porre nel corpo docenti il carisma della figura femminile come centro gravitazionale:

“I vertici hanno ben presente che non siamo semplici donne di carità tese solo a somministrare aiuti palliative agli scugnizzi. Sanno che il nostro potenziale sovversivo sta nel fatto che noi quei ragazzi li leviamo dalla strada per formarli al lavoro e restituirli a una vita degna col fine ultimo di creare uomini liberi. Proposito inammissibile per chi, viceversa, mira a spegnere le coscienze”. 

Un ruolo essenziale che non si esaurirà con la fine del mandato a bordo della Caracciolo.

Una missione che sarà la stella polare per la Franceschi in nuove iniziative analoghe rivolte anche al genere femminile: le scugnizze napoletane. Tante ragazze e giovani donne avviluppate dal degrado della strada, della sopraffazione.    

Anche gli uomini che gravitano sulla nave asilo sono fattuali nelle diverse peculiarità alla causa sociale. In particolare il generoso contributo esterno del sacerdote, don Franco Viggiano. Contrapposto al manicheo  maestro Varricchio.

 Imprigionato nel suo intransingente ambiguo manierismo. 

Anime che rendono più genuina e trasversale la comunità eterogenea degli adulti imbarcati  sulla nave scuola.

Antonella Ossorio Fonte: pagine facebook dell’autrice.

Chiudiamo queste riflessioni offrendo all’audace lettore sin qui arrivato, uno stralcio della presentazione del libro, svoltasi a Napoli, nel quartiere Vomero, nello scorso giugno.

Un sunto importante per i lettori, per la città di Napoli. Per troppi anni, sul crepuscolo del Novecento, rimasta orfana, nel dibattitto politico culturale, del contributo dei suoi grandi intellettuali. Secondo una vulgata, talvolta polemica o pretestuosa.      

Possiamo, in tutta buona fede, pensare e affermare che anche questa rappresentanza di scrittrici e scrittori partenopei, ripresi insieme alla Ossorio, esprimano, con tutte le criticità della nostra società digitale e liquida, l’eredità e la continuità dei vari: La Capria, Rosi, Ortese, Serao, Rea.

Fonte: pagina facebook dell’autrice.

Buona lettura.

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