Maternità negate. Storie di vite imperfette.

Silvia Avallone scruta frontiere metropolitane con gli occhi dei figli.

 

“ Non ce n’è uno, anche adolescente, abusato o violento, che sia da considerarsi perso.

E’ che se da bambino non sei amato, poi non esisti.”

La citazione tratta da un dialogo tra Serena e Dora, due coprotagoniste del romanzo, illumina una cifra portante non solo nella trama, quanto nella vita della nostra società contemporanea e non solo.  Da dove la vita è perfetta, ultimo libro di Silvia Avallone, uscito nel 2017, per i caratteri di Rizzoli editore indaga uno squarcio ostile e reietto nei luoghi marginali e periferici di uno dei migliori capoluoghi italiani.

Bologna nella fattispecie.

I Lombriconi del Villaggio Labriola rappresentano, in un quartiere immaginato nella finzione dell’autrice, le residenze ghetto di centinaia di famiglie. Che vivono in un recinto suburbano dove le giornate sono identiche nella gara unanime di sopravvivenza.

I fabbricati allineati come casermoni tracciano piazze sognate di svago, dove il presidio socio economico è garantito dai puscher improvvisati che si dividono metri poco asfaltati, consumati dall’arsura rovente estiva o dalla pioggia gelida dell’inverno.

Uno di questi adolescenti dal futuro rubato, Manuel, ha conquistato la sua coetanea Adele Casadio. Prossima ai diciotto anni, figlia di emigrati napoletani, in una famiglia già spezzata. Il padre Adriano, assente ingiustificato dal ruolo, da sette anni in galera, è prossimo alla scarcerazione.  La madre Rosaria, tira una vita di stenti per crescerla insieme alla sorella minore, Jessica.

Manuel ha il suo migliore amico e coetaneo, Zeno. Ragazzo sensibile e studioso che abita nello stesso fabbricato di Adele. Quest’ultima rimasta incinta di Manuel (differentemente da Zeno è un delinquentello che pensa in grande spacciando droga), dopo la sconvolgente scoperta, decide di proseguire la gravidanza.

Questo fatto saliente, muove una serie di figure non di contorno. Con le loro storie personali realizzano un affresco corale dove singoli ruoli e attese comuni superano dinamiche anacronistiche circa passaggi e conflitti generazionali.

La maternità, fattore inedito: scoperta sofferta o progetto desiderato e mancato.

Alienato nella disperazione di un impedimento fisico è il controcanto che vibra costante in tutta l’architettura narrativa per dominare oltre la trama del libro.

La giovanissima adulta, puerpera a sua insaputa, ripudia gioco forza e consapevolmente l’insostenibile ruolo materno. Magistrale la narrazione del congedo dalla neonata Bianca affidata alle cure delle ostetriche del nosocomio bolognese.  Il gesto autarchico è quasi compensato dall’altra madre mancata. L’adulta, non più giovanissima, Dora, logorata dalla sua inevitabile sterilità. Collegata a una disabilità congenita a un arto inferiore, sostituito da una protesi meccanica. Moglie di Fabio, brillante architetto in carriera, Dora è insegnante al liceo classico “Galvani” dove subisce una morbosa attrazione per l’inconsapevole Zeno, suo allievo.

Un affresco contaminato da stati sociali e sensibilità opposte dove la sottrazione di gioia e di aspettative legittime prevarica con passo esteso lo scorrere del tempo.

La maternità negata o surrogata nelle adozioni, altro tema dirimente, spesso emarginato nel sistema famiglia, più o meno omologato, è esplorata dagli occhi dei figli.

Che inquadrano altrettanti genitori diversi. Padri inesistenti nel ruolo o potenziali accentratori nelle decisioni dei congiunti, sempre meno congiunti.

Immagine tratta dalla pagina Facebook
di Silvia Avallone

Madri inadeguate per l’umana impossibilità di ricoprire più ruoli inconciliabili ma necessari.

Un insieme di umanità che brulica nei luoghi non sempre splendenti. In una società urbana, rapida e indifferente per cogliere le lacrime di una partoriente lasciata in solitudine. Nella corsa anonima di mezzo di trasporto pubblico che la accompagni in tempo utile all’ospedale per lasciare il fagottino di una vita nuova.

Non è un romanzo di formazione, neppure un’auto fiction.

La narrazione inizialmente criptica, non avvezza al “linguaggio di plastica di molti romanzi di consumo”, come cita Gianluigi Simonetti (Domenica del 5 luglio scorso) sulla sestina finale dei titoli in lizza nell’ultima edizione del Premio Strega, è semplicemente realistica.

Intrisa di quella partecipazione emotiva della scrittrice non casuale rispetto, evidentemente, anche alla sua personale esperienza al debutto con la maternità.

Quella stessa umana debolezza che diventa fortezza nei contenuti contemporanei di questa particolare fase storica che viviamo. Recente la testimonianza della stessa giovane scrittrice, bolognese di adozione, nel saggio diario, in staffetta con altri grandi scrittori nazionali, nella sua quarantena casalinga, pubblicata lo scorso 12 aprile su Lettura.

Immagine tratta dalla pagine Facebook
di Silvia Avallone

Una stessa tensione emotiva, annunciata dalla scrittrice, per il suo prossimo titolo in uscita, Un’Amicizia. Una scommessa ancora più ardua, considerando l’incertezza del tempo presente rispetto al prossimo, già imminente autunno, quando leggeremo il nuovo progetto edito ancora da Rizzoli.

Buona lettura.

 

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