“Ottenere qualche lume dalla gioia, è cosa troppo facile. Se puoi occuparti e guadagnare qualcosa, fallo davvero, mettiti con impegno: ma non dimenticare che anche scrivendo, voglio dire pensando, si può comprare un po’ di pane o un vestito. Perciò, non scoraggiarti, tenta, consigliati con amici intelligenti, pubblica, coraggiosamente: fa che quanto hai in te di bello e buono s’affini e amorosamente posi sulla mensa comune.”.
Le note di apertura sono tratte da una delle tante lettere scritte da Anna Maria Ortese a Marta Maria Pezzoli (Mattia) agli albori degli anni quaranta.
L’amicizia fra le due donne era nata nel maggio del 1940 a Bologna, sede universitaria e stabile dimora della giovane studentessa Pezzoli.
Una selezione della fitta e intensa corrispondenza che documenta un intimo, sodale legame in un ambiente sociale e culturale molto complesso, è raccolta in un prezioso saggio.
“Vera gioia è vestita di dolore” Lettere a Mattia è il saggio di Anna Maria Ortese, edito per i caratteri di Adelphi.
Il testo curato da Monica Farnetti, con una nota di Stefano Pezzoli, è un prezioso pamphlet incluso nella collana Piccola Biblioteca.
Il titolo richiama l’essenza della vita umana. In tutte le possibili stagioni della crescita personale, incastonate in una particolare epoca storica.
Pensando alla statura intellettuale, al valore letterario nell’opera della Ortese, la sua grandezza traspare in una norma di grande umana e semplice quotidianità.
Vissuta con tutte le dinamiche umane e relazionali, talvolta complesse. Intrise di dolore di varia natura.
Le appendici conclusive di Monica Farnetti e Stefano Pezzoli, restituiscono un quadro completo per una lettura profonda e coerente alle vicende. Che si susseguono dopo circa un secolo nella nostra società contemporanea.
“Parigi mi ha ossessionato a tal punto, nella vita, che molti personaggi dei miei romanzi hanno ereditato da me l’attrazione e il piacere che provo nelle passeggiate solitarie e avventurose attraverso la capitale. Ancora oggi mi basta seguire l’uno o l’altro di loro per ritrovare, per suo tramite e come intensificato dalle sue fantasticherie, il turbamento o l’incanto di un luogo in cui ritorno per caso.”.
Nella stessa collana Piccola Biblioteca, con il numero 793, Adelphi pubblica nell’estate appena trascorsa, un altro gioiello: “Parigi” di Julien Green.
Lo scrittore, nato a Parigi, figlio di genitori americani, ha traversato l’intero Novecento, nell’incontro di due lingue e due culture.
Lo ricorda la quarta di copertina del saggio. Dalla brossura in un sobrio colore cobalto.
Il saggio è un vero atto di amore filiale nei confronti di una città madre.
Una guida che conduce per mano il lettore nei meandri dell’anima che la città consegna al suo visitatore.
Insieme alla magnificenza dei luoghi o all’incanto delle “pigre scalinate che si aggrappano alle pendici di Montmartre e i cui gradini paiono anch’essi stanchi di quell’eterna ascensione.”
Occasioni di sane pause letterarie che ci riconciliano con l’intemperanza cruenta e veloce dei nostri giorni complicati. Digiuni di bellezza.
Buona lettura.