Un coup de théàtre nella fragilità della vita.

Lo struggente esordio letterario di Claudia Petrucci con L’esercizio.

“Giorgia incontra Filippo a una festa di laurea: lui si innamora della sua fragilità, lei si sente rassicurata dalla normalità di quel ragazzo laureato in Lettere, cha ha dovuto rinunciare al giornalismo per dedicarsi al bar dei genitori.”

L’incipit nella seconda di copertina illumina la sinossi di un romanzo d’esordio, del quale si percepirà un eco ampio e duraturo nel tempo. Ricorderemo e torneremo sull’opera prima dell’autrice, la giovane scrittrice Claudia Petrucci (classe 1990), laureata in Lettere moderne, già passata nei crogiuoli d’autore come Cadillac e minima&moralia.

Il suo primo romanzo, L’esercizio, distribuito in libreria per i caratteri de La Nave di Teseo, nei giorni precedenti l’avvio della pandemia da coronavirus, è una struggente indagine introspettiva nella ricerca di ruoli e identità della nostra vita. Messa in scena nella prosa quotidiana di un’ampia ribalta con l’esercizio di una regia non sempre teatrale.

La vicenda esplora in un’articolata trama con dei picchi emotivi dagli umori noir, la sovrapposizione tra la persona e il personaggio. Uno spettro sulla nostra identità e sull’immagine che vorremmo esporre nelle nostre relazioni sociali e sentimentali.

 La metafora narrativa che consente questo laboratorio di umana realtà è realizzata con immagini salienti in un linguaggio lineare e portabile (il lettore che riprende la lettura in una determinata pagina del libro, anche dopo una prolungata pausa, non dovrà retrocedere per ripristinare l’originaria tensione emotiva), ricorrendo all’impianto teatrale.

Un palcoscenico che, ricordando altri grandi autori del Novecento, rappresenta lo psicodramma della vita quotidiana. Dove muovono nella dorsale della trama la triade principale dei protagonisti.

Ovvero i primi tre danzatori di un corpo di ballo ampio e corale dove tutti i figuranti rivestono pari importanze. In una coreografia dai passi intonati di fragile debolezza.

La voce narrante di Filippo s’interpone fra la precaria personalità della compagna Giorgia e l’ingombrante presenza del suo Maestro, il regista drammaturgo Mauro. 

Il tema della depressione, declinato nelle varianti delle turbe psichiche, prende forma nel corpo incerto di Giulia, catturandolo nelle sabbie mobili della patologia mentale.

La giovane, recidiva al disturbo del disagio comportamentale, ne è travolta appena rientrata in scena, non resistendo al richiamo del palco e del suo mentore.

Senza spoilerare una trama ricca e avvincente, l’esercizio strategico d’inoculare un copione innovativo nel piano terapeutico riabilitante di Giorgia, segna il colpo di scena.    

Decisivo per sovrapporre in una personalità bionica, una sorta di Andromeda due punto zero, l’attrice in prosa alla nuova donna consapevole e disinibita rispetto ad antichi tabù e deficit di autostima.

Lo sfondo reale dei concorrenti in scena, quelli della vita reale, volge e si dibatte in una ricerca assetata di felicità. Surrogata in appagamenti egoistici e compromessi al ribasso.

Non per nulla quando salta l’arrangiamento nell’interpretazione dei ruoli, sarà necessario un nuovo regista con un diverso esercizio.

Necessario a svelare gli orizzonti, non scrutabili né prescritti in un brogliaccio da recitare che ci riserva la vita.

Un romanzo ammaliante scritto da una giovane autrice, già grande nella sua narrativa potente e memorabile.

Claudia Petrucci Immagine tratta da : lanavediteseo.eu

Buona lettura.   

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