Dalla ricostruzione alla ripresa. L’evoluzione geopolitica nei report di Aspenia.

“La pandemia ha costretto tutti a ripensare con urgenza (anzi, in una situazione di panico) il rapporto tra Stati e mercati, se non altro perché i governi hanno dovuto adottare misure di emergenza non lontane da quelle tipiche dei tempi di guerra – di fatto, in un vero “stato di eccezione”. L’aumento generalizzato del debito pubblico (ma anche in verità, del debito privato) ne è un indice.”

Il passaggio, obbligato, che raffigura lo scenario globale attraversato dall’onda lunga o dal malefico tsunami del virus covid19, è una premessa essenziale nel nuovo editoriale firmato da Roberto Menotti e Marta Dassù.

I due direttori di Aspenia, introducono, come di consuetudine, il sommario dei contenuti nel numero 94 del trimestrale, disponibile nelle migliori librerie ed edicole della penisola.

I sottotitoli in copertina, L’etica e l’algoritmoVent’anni di Afghanistan, bilanciano un cauto ottimismo che trapela nella Radiografia della ripresa, capoverso essenziale nei “nuovi dopoguerra” che segnano l’attuale fase contemporanea.

Una congiuntura che segna una scomposizione liquida delle ricadute malefiche del post pandemia  (https://www.laltraribalta.it/2020/07/24/i-riflussi-storici-nei-saggi-di-aspenia/) .

Scaglionando distretti continentali in situazioni divergenti rispetto alla diversa situazione sanitaria regionale.  

Uno stato altalenante che secondo la volatilità del contagio ha squadernato la complicata agenda internazionale del comparto occidentale, alterando priorità predefinite nello scacchiere di vertice di area G20.

Quest’ultimo che si chiude in queste ore a Roma, il primo in presenza dopo due anni d’incontri virtuali, riveste una nuova e straordinaria rilevanza sugli assetti politico strategici.

All’indomani del rovinoso congedo americano occidentale dai territori afghani di fine agosto.

Senza poter sdoganare la pur drammatica debacle per il vulnus democratico americano e la Civiltà occidentale, realizzatasi all’alba di questo 2021.

Con la “Save America March” del sei gennaio, il violento assalto al Campidoglio americano, in suffragio del defenestrato Donald Trump.

Il tema afghano (non proprio regale per l’area del fu patto atlantico) con il ripristino della teocrazia talebana, è certamente prioritario nell’agenda internazionale dell’assise romana e del numero dedicato della rivista. 

All’uopo, è Robert Kagan, esperto di politica estera presso la Brookings Institution, ad accendere un faro  sul “nation building” o ciò che sarebbe stato questo principio.

Divisivo nella classe politica americana, pilatesco in buona parte degli alleati europei.

Desiderosi di contenere gli impegni e le esposizioni di una presenza militare pluriennale per obiettivi “esterni” poco rassicuranti.

Rispetto a dinamiche nazionali di governo e consenso “interno”. 

Il suo saggio – L’America in and out: paura e illusioni – è la cifra eloquente che inquadra al meglio i dossier che seguono.

Ancor più la complessa situazione nello scacchiere planetario.                                                                                                                                          

“I giudizi storici richiedono senso della prospettiva, ma la politica e l’opinione pubblica hanno la memoria corta. Nel settembre 2001 l’amministrazione Bush lanciò l’intervento afghano con grande consenso popolare e perseguì poi il “nation building” per mancanza di alternative migliori. L’America è intervenuta in Afghanistan per paura, non superbia.” 

L’articolo seguente, scritto da Adam Tooze, giornalista che scrive per The New Statesman,

conferma l’attuale criticità vissuta dagli Stati Uniti con l’irrinunciabile necessità di nuovo sostegno economico militare da parte del vecchio continente.

Sarebbe riduttiva l’idea di riconoscere nel fallimento della campagna afghana la principale voce disaggregante della comunità G20. Riunitasi a Roma con un’adesione collegiale non unanime.

Considerando le assenze del presidente russo Putin e del suo collega cinese Xi Jinping-

Il contrasto alla pandemia da covid19 nei paesi poveri, la decarbonizzazione e i cambiamenti climatici, l’intelligenza artificiale e l’agenda digitale, il capitalismo responsabile e la ripresa del ruolo europeo costituiscono punti di partenza non differibili.

Dossier puntualmente coincidenti nel nuovo volume di Aspenia.

 Con un’appropriata sovrapposizione al ritorno dell’auspicato multilateralismo.

Presidente Joe Biden. Immagine tratta dalla pagina Facebook.

Declinato in più inevitabili osservatori. Con attori di peso specifico diverso, quanto decisivi (Cina e Vaticano). Pronti all’utilizzo di appuntamenti di varia entità.

Ravvicinati e utili se convergenti su obiettivi comuni.

Dalle recenti Settimane Sociali dei Cattolici di Taranto, passando per il G20 romano appena concluso. Sino all’imminente Cop26 di Glasgow.

Senza spoilerare ulteriormente i contenuti, il numero 94 di Aspenia costituisce un approfondito vademecum.

Buona lettura.

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