Memorie dai luoghi delle terre lontane. Gli spettri della sera, Piera Ventre illumina l’ultimo Novecento Italiano.

“Non le pareva un atto di chissà quale coraggio lasciare Napoli per dare credito all’amore. Non lo sapeva, allora, che di coraggio, invece, ne aveva avuto e anche parecchio. E non nel lasciare Napoli.”

Storie di partenze, emigrazioni: separazioni dai luoghi e dagli affetti natii.

L’ultimo romanzo di Piera Ventre, Gli spettri della sera, in libreria dallo scorso dieci marzo per i caratteri di Neri Pozza, esplora in una rinnovata versione, uno spaccato italiano dell’ultimo Novecento. 

La casa, dimora privilegiata della famiglia, luogo ospitale delle primarie relazioni affettive – umane e non – torna la scena essenziale, dove evolvono le storie. 

Diversamente dall’ultimo lavoro della scrittrice napoletana, pubblicato nel duemilaventuno, (https://www.laltraribalta.it/2021/12/30/quei-luoghi-cari-della-memoria-nelle-stanze-intricate-di-piera-ventre/),

Gli spettri della sera entrano nel vivo di una trama familiare.  

 Vissuta nella carne di alcuni protagonisti già incontrati nella pregiata letteratura ventriana.

Alle prese in questa tornata, nell’incontro di culture e ambienti diversi dalle origini.

Narrate nel primo romanzo d’esordio della stessa autrice, pubblicato nel 2017 (http://www.networknews24.it/2017/05/22/ventre-napoli-nelle-mura-palazzokimbo/).

E’ Stella, voce narrante, anello di congiunzione con le radici suburbane partenopee di Palazzo Kimbo, a ritrovarsi adolescente. In compagnia del cuginetto Michele di dieci anni, parte in treno da Napoli per una località sconosciuta.

Un’insolita vacanza: inedita e stupefacente.

Sansenesio, fantasioso borgo nel Monferrato, diverrà luogo incantato che ospita, in una natura ancora sana e solidale con la sparuta comunità dei residenti, la cascina di Rensìn.

Piera Ventre. Fonte: pagina facebook

L’autoctono contadino, in simbiosi con il bestiame del suo allevamento e i filari di vigna ai quali lavora dalla sua nascita insieme ai genitori – oramai in avanzata età – non si è mai mosso dalla sua casa se non per arrivare, per impellenti necessità, al capoluogo di provincia, Asti.

Alla locale stazione ferroviaria si recherà più volte per prendere in auto, i parenti napoletani della sua consorte Marina. Impalmata dallo stesso Rensìn, decisosi, con l’aiuto di un amico sensale, a metter su famiglia con una brava terrona. Disposta a sistemarsi nel focolare domestico del profondo nord rurale e agreste.

“Declinano lungo le colline, filari pettinati che si inerpicano oppure rovinano lungo i bricchi in curve cartello col nome del paese. Ma chiamarlo paese è un azzardo. Più o meno di un borgo microscopico si tratta.”     

In queste ambientazioni che rivivono i natali di Cesare Pavese, Beppe Fenoglio e Nuto Revelli,

Piera Ventre sin dalle prime righe solca, in una prosa garbata e poetica,

gli “appezzamenti di terreni gerbidi.

Realizzando da subito quel cambio di paradigma che non muta i bisogni primari degli esseri umani. A prescindere dalle visioni geopolitiche.  

Dove la vita all’aria aperta con il frinire delle cicale o la raccolta quotidiana delle uova dal pollaio, non è prerogativa esclusiva dell’agro campano o meridionale in genere.

Dove i racconti degli anziani circa la presenza occulta di avi e fantasmi che aleggiano in stanze antiche e disadorne, spaziano oltre le fabule partenopee di munacielli o belle ‘mbriane.

Ne sapranno bene i due cuginetti alla prima esplorazione nel Munfrà (il Monferrato intercalato da Rensìn), assorti nei racconti serali dell’ottuagenaria Lodovina.

Personaggio centrale, una sorta di Highlander al femminile. Onnipresente nella conduzione matriarcale della cascina oltre che inevitabile suocera di Marina.

Sono anni cruciali quelli che fanno da sfondo epocale: a cavallo fra gli ottanta e i novanta. 

Il muro di Berlino non è ancora frantumato, i trattati di Maastricht ancora in gestazione.  

Lo sviluppo urbano italiano con il generoso piè di lista di debito pubblico beneficia le grandi città, Napoli compresa. Emarginando la provincia e le comunità dell’interno. Sempre più sole.   

L’economia industriale evolve senza risparmiare duri conflitti sociali.

 Il Piemonte è la culla dell’auto. Mirafiori, il tempio poco sacro di Fiat.

Casualmente Venditti nel 1982 – in una traccia dell’album “Sotto la pioggia” – canta: “Torino vuol dire Napoli che va in montagna”.

Piera Ventre Fonte: pagina facebook

Vari lustri precedono l’avvento dei nativi digitali con i social network. La televisione catalizza socialità e sentimenti – quella inaugurale del dolore è mirabilmente esplorata dalla stessa autrice in “Sette opere di misericordia” (https://www.laltraribalta.it/2020/04/18/dal-ventre-di-napoli-la-napoli-di-piera-ventre/) – viepiù in periferia e nelle sparute comunità montane.  

Il sogno americano di Stella è coltivato nelle letture di Jack Kerouac. Al pari di Michele, libero di assecondare la sua curiosità scientifica. Arrampicato sulle alture a scoprire la sconfinata varietà di flora e fauna. 

Tutto questo e non solo si condensa nell’avanzata delle stagioni.

 Un cambio generazionale che devolve, ogni giorno, le norme dei sentimenti al pari dei mutamenti climatici.

Un processo inevitabile che coinvolge genitorialità sopite, sofferte o agognate.

Amori con libertà vigilata, quando non relegati in un recinto non valicabile.

Il testo di Piera Ventre emana bellezza e stupore, nostalgia e disincanto.

Piera Ventre. Fonte: pagina facebook

Un passaggio di testimone che sorregge chi è avanti nel cammino. Bisognoso di rallentare nell’erosione delle certezze.

Il garbo e lo sguardo amorevole per chi segue dietro sono l’essenza della vita.       

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