Una Orchestra Jazz in ogni regione d’Italia. The Big Band Theory di Alceste Ayroldi offre un panorama dalle tinte fosche sul paesaggio musicale orchestrale italiano. Un sistema istituzionale ancorato a culture conservative non allineato agli standard europei.

«Per essere stabile un’orchestra dovrebbe essere composta da musicisti in paga che, grazie a un lavoro continuativo, possono vivere solo di quel lavoro.»

La risposta fornita dal Maestro Riccardo Brazzale ad una delle principali domande, costituenti un mini questionario approntato da Alceste Ayroldi, risulta un punto cruciale in una puntuale preziosa indagine realizzata dallo stesso musicista, docente musicale, collaboratore della storica testata Musica Jazz.  

The Big Band Theory, edito dalla scorsa estate per i caratteri Minimum Fax,  illumina attraverso la voce, le testimonianze dirette dei protagonisti, la valle con tutte le indissolubili radici che hanno portato sino ai giorni nostri, i frutti comunque rigogliosi di quel genere musicale, capace di unire, entusiasmare anche i cuori di coloro che ne ignoravano l’esistenza.     

«Il jazz, va compreso questo aspetto, non è che un innesto epocale all’interno dell’albero genealogico di una delle tante espressioni umane: l’arte della musica (mi prendo la libertà, remando controcorrente, di cassare, per l’ambito specifico, l’espressione “afroamericana”: gli strumenti melodici sarebbero tutti europei, se quelli ritmici sono africani). Quel ramo si è allungato e ha prodotto foglie , frutti e semi che, cadendo, hanno prodotto altri alberi che oggi compongono, sui territori del tempo presente, una foresta in via di estensione a dispetto di un’altra in via di estinzione difesa da vestali, prone al cospetto di un’antica divinità, che istigano vari Macbeth a compiere efferati delitti pur di no vedere quella foresta avanzare.»     

La prefazione di Domenico Cogliandro, direttore del Centro Studi presso la Fondazione Orchestra Jazz Siciliana The Brass Group,

alla quale è dedicato lo speciale ultimo capitolo, delinea un quadro a tinte varie. Ripreso  e sviluppato con argomentazioni tecniche e pratiche da Alceste Ayroldi.

Il quale accompagna il lettore in una panoramica storica sulle origini delle produzioni orchestrali in Italia e in Europa dal Novecento ai nostri giorni.

In questa grande filiera le orchestre jazz hanno visto la loro nascita e successiva crescita sin dagli anni sessanta. Alcune di esse, storiche grazie ai rispettivi fondatori, sono state progenitori rispetto a tante realtà sviluppatesi con alterne fortune.

Condizionate nella maggioranza dei casi dall’esistenza di una struttura organizzata e stabile in modo permanente al pari di una istituzione amministrativa.

Su questo crinale essenziale l’esistenza delle ICO (istituzioni concertistico orchestrali), sorte con la tutela statale – disciplinata con apposito decreto ministeriale per i Beni Culturali, il numero 191 risalente al 19 marzo 2001; fa la differenza rispetto all’organizzazione, promozione e programmazione della musica classica, sinfonica.  

Sul persistente non compiuto riconoscimento del genere musicale jazzistico alle pari opportunità – per usare un eufemismo – riconosciuto alle ico; si sviluppa lo scambio di esperienze con i principali direttori e compositori jazz italiani. Moderati dal giro di quesiti posti da Ayroldi.     

Una schiera di autori che forti dei loro studi e lavori con grandi colleghi d’oltre oceano hanno dato vita a formazioni note in tutto il mondo. In alcuni casi con una longevità commovente.

Il già citato Riccardo Brazzale, Mario Corvini, Giovanni Agostino Frassetto, Pino Minafra, Pino Jodice. Musicisti che insieme a colleghi e amici hanno mantenuto in vita formazioni che ancora oggi riescono a realizzare produzioni e concerti con calendari programmati.

E’ il caso ad esempio della Orchestra Jazz della Sardegna o dello stesso Brass Group, che lo scorso anno ha festeggiato i suoi primi cinquant’anni di attività con l’Orchestra Jazz Siciliana, fondata dal presidente della Fondazione Maestro Ignazio Garsia.        

Va da sé che nella diversificazione delle singole compagini distribuite sul territorio italiano, nelle dinamiche delle varie esperienze descritte, un peso specifico non trascurabile è segnato dalla politica. Che, con le diverse sensibilità circonstanziate, contribuisce a sostenere determinate realtà. Depotenziandone inevitabilmente altre.

Alceste Ayroldi fonte: pagina facebook

Un unicum decisamente italiano. Dove il discernimento dei contenuti da promuovere e delle risorse da conferire confligge in maniere evidente rispetto ai protocolli adottati in altri paesi europei ed extra u.e.

In taluni casi la determinazione e la passione che permea alcune storie raccontate in questo affascinante saggio ci riporta ad altri mecenati. Amanti oltre modo di questa musica.

E’ il caso dell’avvio del Bass Group Big Band in un ameno scantinato in Via Duca della Verdura a Palermo. Asceso rapidamente ad una sorta di “Music Inn siculo”  grazie anche ai legami con quel Pepito Pignatelli, mirabilmente narrato da Marco Molendini con lo stesso editore: https://www.laltraribalta.it/2022/07/10/pepito-pignatelli-liconografia-del-jazz-nella-variante-romana-della-dolce-vita-unaccurata-retrospettiva-nellaccattivante-memoriale-di-marco-molendini/

In ogni caso dalle pagine di questo volume emerge più forte che mai l’innesto epocale dell’arte della musica. Una musica che unisce e aiuta in un sodalizio gioioso tutti coloro che la vivono.   

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